martedì 31 luglio 2012

Avvisi udienze: la Cassazione apre alla notifica via sms

Dopo il fax, la Cassazione accoglie una nuova modalità di notifica per gli avvisi delle convocazioni all’udienza di convalida di un arresto


Notifica udienza via sms, la Cassazione dice sì. La Suprema Corte ha dato l’ok alla facoltà che la comunicazione per udienze con tempi risicati per la diramazione degli avvisi avvenga anche via messaggino telefonico. La novità viene esplicitata nella sentenza 30984 dello scorso 30 luglio, che ha respinto il ricorso di un avvocato, certo di vedere annullato l’esito di un’udienza, tenuta a suo dire in violazione del diritto di difesa, poiché all’interessato non era pervenuta convocazione via sms o altri sistemi.
Dopo il fax, dunque, via libera dalla Corte di Cassazione anche per avvisi e notifiche via sms, malgrado il tenore informale che questo mezzo di comunicazione abbia sempre riscontrato, sin dalla sua diffusione coi primi telefoni cellulari. Quello che stabilisce la Cassazione, comunque, è che l’udienza non possa considerarsi nulla se le parti non sono a conoscenza dell’avviso, se questo è pervenuto anche tramite fax o sms.
La Suprema Corte ha stabilito, infatti, che l’adeguatezza funzionale della comunicazione per la convocazione di un’udienza di convalida dell’arresto vada verificata di volta in volta, presupponendo che il legale possa essere rintracciato, come è naturale, nell’ufficio di esercizio della professione. Esaminando il caso in oggetto, la Cassazione ha convenuto che l’avvocato proponente il ricorso, era in realtà già statao rintracciatovia fax e via sms, al numero abitualmente utilizzato perlo svolgimento del suo ruolo di rappresentante legale.
Prevale, dunque, l’assoluta necessità – in linea con la prerogativa costituzionale di difendere il diritto alla libertà – di dare avviso nei tempi congrui sia al Pubblico ministero che agli avvocati, anche secondo canali meno “ufficiali”, che aprono, dunque, anche la strada della sostituzione del difensore nell’udienza di convalida, nel caso quello inizialmente incaricato non abbia prestato sufficiente attenzione al proprio telefonino.


per testo sentenza Cassazione n. 30984 del 30.07.2012 cliccare sul link che segue
http://notizielegali.altervista.org/leggiesentenzepenali.html


fonte leggioggi.it

Cassazione: non c’è arresto in flagranza se il ladro viene trovato, per caso, in un secondo momento

Una recente sentenza della Cassazione, la numero 25496 del 28 giugno 2012, farà storcere il naso a quanti, avendo subito un furto, dopo qualche ora abbiano casualmente incontrato e riconosciuto il ladro con la refurtiva addosso (un orologio, un paio di scarpe rubate in una palestra, un cellulare): in questi casi, il rapinatore non può essere arrestato contestualmente dalle autorità perché manca la flagranza di reato. Non serve a nulla riconoscere, senza ombra di dubbio, il reo e fornire ai carabinieri la prova della proprietà sui beni di cui il malvivente si è impossessato: per aversi arresto in flagranza è necessaria infatti la continuità tra l’inizio delle ricerche (poste in essere dalla polizia) e l’arresto stesso. In altre parole, non ci devono essere interruzioni nell’inseguimento. La forza pubblica infatti può eseguire un arresto in (quasi) flagranza solo subito dopo il reato. E’ consentito anche “un breve intervallo”, necessario alle autorità per giungere sul luogo del delitto, acquisire notizie utili e iniziare le ricerche. L’importante è che non vi sia una cesura nella consequenzialità tra fuga e inseguimento. Dunque, così come nel caso di specie deciso dalla Corte, non può esservi arresto in “quasi flagranza” nel caso in cui sia cessata la fuga o terminato l’inseguimento.


Per testo sentenza numero 25496 del 28 giugno 2012 cliccare sul link che segue

Cassazione: non scatta il reato di vendita di alimentari in cattivo stato di conservazione per i prodotti scaduti


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 
del 25 luglio 2012 numero 30425

Per eccepire il reato di cattiva conservazione dei prodotti alimentari serve l’analisi organolettica del prodotto, mentre non è sufficiente il semplice superamento della data di scadenza. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza del 25 luglio 2012 numero 30425, accogliendo il ricorso del titolare di un alimentari condannato dal Tribunale di Torre Annunziata per aver posto in vendita generi alimentari “in cattivo stato di conservazione in quanto scaduti da più giorni”. Per la Suprema Corte però la deduzione del giudice avvenuta senza alcun riscontro materiale, ma soltanto sulla base della data di scadenza - “sebbene i prodotti fossero ancora contenuti e sigillati nella loro confezione originale e sebbene gli stessi non presentassero elementi oggettivi o soggettivi da cui desumere il cattivo stato di conservazione” - non era sufficiente ad integrare il reato comminato ma soltanto un illecito amministrativo (Cass. 30858/2008). Infatti, il cattivo stato di conservazione riguarda il caso in cui le merci sono prodotte o messe in vendita senza il rispetto delle norme e dei regolamenti a garanzia dello loro buona conservazione sotto il profilo igienico sanitario. In questa prospettiva il superamento della data di scadenza non ha nulla a che vedere con le modalità di conservazione del prodotto.

lunedì 30 luglio 2012

Prima la visita a domicilio, poi, a distanza di quattro giorni, la proroga della prognosi, alla luce delle indicazioni fornite telefonicamente dalla paziente: irregolare comunque il certificato medico


Scienza, coscienza, esperienza e affidamento sulle parole della persona in cura non possono essere sufficienti a liberare da responsabilità il medico.  Prima la visita a domicilio, poi, a distanza di quattro giorni, la proroga della prognosi, alla luce delle indicazioni fornite telefonicamente dalla paziente. Tutto fatto secondo esperienza, scienza e coscienza. Ma ciò – come da Cassazione, sentenza 18687/12 – non basta a salvare il medico dall’accusa di ‘falsa certificazione’. L'episodio ‘incriminato’ è quello relativo al rilascio di un certificato medico di proroga della diagnosi: per arrivare a tale decisione, però, il medico si limita a una visita ‘telefonica’, basandosi sulle indicazioni fornite dalla paziente in merito ai sintomi della sua malattia. Certificazione da considerare falsa? Non è così scontata la valutazione. Non a caso, in primo grado il medico si salva, grazie all’assoluzione decisa dai giudici, ma, in secondo grado, la situazione cambia: condanna non solo per il professionista, ma anche per la paziente. Una visita non basta. A contestare il pronunciamento è, innanzitutto, il medico – a cui si lega indissolubilmente anche la posizione della paziente –: il ricorso in Cassazione, difatti, è finalizzato a rivendicare la legittimità dell’operato.
Elemento centrale, secondo il legale, è quello psicologico: il medico «avrebbe concesso la proroga sulla base di quanto accertato nella visita effettuata quattro giorni prima» e i sintomi «comunicatigli telefonicamente dalla paziente» sarebbero stati compatibili con la malattia «accertata pochi giorni prima», ciò alla luce di un’«esperienza pluridecennale». Peraltro, «l’intera durata della prognosi», sostiene ancora il legale, «era già contenuta nel primo certificato medico». Quindi, il medico non aveva «consapevolezza» di «certificare fatti non veri», e, alla peggio, potrebbe essere contestato solo «l’elemento colposo». Tale visione, però, non viene assolutamente condivisa dai giudici della Cassazione. Per questi ultimi, difatti, va tenuto presente che «la falsa attestazione attribuita al medico» è fondata sul certificato emesso «senza effettuare una visita e senza alcuna verifica» sulle condizioni di salute del paziente, essendo irrilevante, come in questo caso, la «sussistenza della malattia» verificata a priori. Di conseguenza, è assolutamente illogico ipotizzare che il medico possa essere «non consapevole» della certificazione di una patologia senza provvedere alla visita.
Assolutamente fondato, per i giudici, quindi, l’addebito mosso al medico, e, a catena, fondata anche la sanzione rivolta alla paziente.

sabato 28 luglio 2012

La Cassazione smentisce le Entrate: "La dichiarazione si considera trasmessa quando il contribuente o il suo intermediario la inviano. Non quando l'Agenzia delle Entrate la riceve in modo completo."

Cassazione - ordinanza 13432 del 27 Luglio 201


Smentite le istruzioni ai modelli Unico le quali invece affermano:


La dichiarazione, della quale va conservata una copia cartacea, si considera presentata nel momento in cui è conclusa la ricezione dei dati da parte dell'Agenzia delle entrate. La prova della presentazione è data dalla ricevuta trasmessa, sempre per via telematica, dall'Agenzia.


Il principio affermato dalla Corte è esattamente l'opposto di quanto risulta dalla prassi fin qui sostenuta dall'Agenzia, la quale, in verità, ha sempre incontrato i dubbi della Dottrina, perchè vorrebbe rendere responsabile il contribuente di un qualcosa che non può controllare. Non è infatti nella disponibilità del cittadino sapere quando esattamente l'Agenzia "completa il processo di ricezione". Perciò per assurdo, potrebbe accadere che il contribuente invia l'ultimo giorno utile a sua disposizione - ad esempio il prossimo 1° Ottobre - la dichiarazione ma, per motivi a lui sconosciuti o accidentali, l'Agenzia completa il processo il giorno dopo. Cosa che puntualmente accade a chi trasmette le dichiarazioni intorno alle 24 dell'ultimo giorno......Sarebbe assurdo.


Ebbene, la Cassazione afferma - in sostanza- che la dichiarazione trasmessa alle 23.59 del 1° Ottobre 2012 è valida, anche se il Fisco completa la sua ricezione il 2 Ottobre alle ore 00.05. 

Magistrato in udienza dice ad un avvocato “non hai le p…” per la Cassazione è reato


Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 giugno – 26 luglio 2012, n. 30719
Presidente Teresi – Relatore Fumo
Rilevato in fatto
1. Il tribunale di Potenza, in riforma della sentenza del giudice di pace della stessa città, ha assolto G.A. dal delitto di cui all’articolo 594 cp per aver rivolto al cugino G.V., nel tribunale di Taranto, la frase “non hai le palle”.
Secondo i giudici di appello, certa essendo la materialità dell’episodio, manca un’effettiva carica offensiva alla espressione utilizzata dall’imputato, perché inquadrabile nell’ambito di una contesa familiare. Di qui la formula assolutoria “il fatto non sussiste”.
2. Ricorre per cassazione il difensore della parte civile e deduce illogicità della motivazione.
Il tribunale, citando giurisprudenza non in termini, ha ritenuto non offensiva la grave espressione adoperata. Ebbene la giurisprudenza citata è relativa a diversa frase (“non rompere le palle”), frase che, nel caso allora in esame, era equivalente ad un invito a non intralciare la condotta di chi la pronunziò, a lasciarlo proseguire nella sua opera, a non frapporsi alla stessa. Nel caso, viceversa, oggi in esame, la frase sta a significare “non hai gli attributi”, vale a dire che essa consiste consiste nell’affermazione che il destinatario vale meno degli altri uomini. L’espressione è ancora più grave perché pronunziata in ambiente di lavoro.
3. E’ stata depositata nota dal difensore dell’imputato, con la quale si assume l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato. La sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
2. In tema di delitti contro l’onore, il giudice di legittimità può e deve apprezzare se il decidente di merito abbia assunto la corretta determinazione con riferimento al valore sociale delle espressioni utilizzate.
Orbene, la giurisprudenza citata nella sentenza impugnata non è pertinente; essa invero si riferisce all’utilizzo di espressione volgare, ma non necessariamente offensiva nei confronti del destinatario. Nel caso in esame, viceversa, a parte la volgarità dei termini utilizzati, l’espressione ha una evidente e obiettiva valenza ingiuriosa, atteso che con essa si vuole insinuare non solo, e non tanto, la mancanza di virilità del destinatario, ma la sua debolezza di carattere, la mancanza di determinazione, di competenza e di coerenza, virtù che, a torto o a ragione, continuano ad essere individuate come connotative del genere maschile.
2.1. L’inutile digressione sulla causale dell’insulto nulla può aggiungere alle obiettiva valenza dello stesso. Manca viceversa qualsiasi considerazione circa il luogo nel quale si svolsero i fatti e dei ruoli che in detto ambiente rivestivano i protagonisti. Invero, per quanto si apprende, l’imputato era giudice di pace in Brindisi e la persone offesa è un avvocato. La frase fu pronunziata in contesto lavorativo (ufficio giudiziario), a voce altra ed era udibile anche da terze persone. In tali circostanze il pericolo di lesione della reputazione di G.V. non poteva essere aprioristicamente escluso sulla base una pretesa “evoluzione” del linguaggio e volgarizzazione delle modalità espressive.
 P.Q.M.
 annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

giovedì 26 luglio 2012

Ampliata la portata dell'accertamento induttivo: verbali INPS riutilizzabili. La sentenza della Corte di Cassazione

Ampliata la portata dell'accertamento induttivo: i verbali redatti da un ufficio (l'INPS nella fattispecie) possono essere riutilizzati per l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa. La sentenza della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha ampliato la portata dell’accertamento induttivo, dichiarando legittimo quello basato sul verbale degli ispettori INPS senza la necessità che la Guardia di Finanza raccolga nuovamente i dati, a condizione che il contribuente sia già a conoscenza dell’atto dell’Istituto. È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 13027 del 24 luglio 2012, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate richiamando l’art. 39, comma primo, lett. d) del dpr 29 settembre 1973, n. 600. Il caso riguardava un’ispezione effettuata dall’INPS durante la quale era emersa la presenza di lavoratori in nero, riutilizzata e trasmessa all’Agenzia delle Entrate dalla GdF senza aver raccolto ulteriori dati, procedimento che la sezione tributaria ha decretato legittimo. La Cassazione ha inoltre precisato che «la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo comma, del dpr 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente». Questo significa che «in tali casi è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, come nella specie».


Sanità: è nato il Tribunale diritti e doveri medico

Tutelare gli interessi professionali, morali e giuridici dei medici italiani. Questa la missione del neonato Tribunale dei diritti e dei doveri del medico (Tdme), presentato ieri a Roma al ministero della Salute, alla presenza del suo presidente Mario Falconi. Un'associazione che ha già un organigramma e un decalogo alla luce dell'ultima indagine condotta dall'Ordine provinciale dei medici chirurghi e odontoiatri di Roma sulla medicina difensiva: l'80% dei medici si sente a rischio di ricevere un esposto o una denuncia, e il 65% di essi ritiene che la causa principale sia da ricercare nel clima di esasperazione che esiste nell'opinione pubblica."Il Tribunale - spiega Falconi - non nasce con una logica corporativa. Vogliamo solo garantire che l'operato dei medici sia sufficientemente tutelato". Non ci sarà assistenza legale agli associati, solo una consulenza "perchè soldi non ce ne sono", ammette il presidente. "Ci stiamo allontanando sempre di più dall'articolo 32 della Costituzione - prosegue - e continuiamo a spendere in modo inappropriato in sanità, cioè il 20% dell'intero budget pubblico". Per fare davvero un passo avanti, secondo Falconi bisognerebbe "ridurre drasticamente le nomine partitiche dei medici, sviluppare un'attività libero professionale intramoenia che sia rispettosa delle norme contrattuali e istituire un modello informatico in rete per tutto il Paese". Quanto al Tribunale dei diritti del malato, che si è lamentato recentemente per la scelta di un nome simile, Falconi si dispiace. "Sono amici - dice - posso capire gelosie sul nome, ma parlare di contrapposizione mi pare esagerato".

Chi vìola la precedenza e causa un incidente, è responsabile anche se ha completato l'immissione al momento del sinistro: così la Cassazione

Un automobilista che deve dare la precedenza, ma supera l'incrocio e s'immette sull'altra strada senza cedere il passo, in caso di incidente è responsabile anche se completato l'immissione al momento del sinistro: lo ha stabilito la Cassazione (terza sezione civile) con la sentenza 12897 del 24 maggio 2012, pubblicata il 24 luglio.

IL CASO SPECIFICO - Il caso esaminato dagli ermellini riguarda un'auto che si è immessa da una via laterale sulla strada principale, dotata di precedenza, ed è stata investita dalla moto che arrivava alle sue spalle. La corte d'Appello di Milano ha attribuito la responsabilità dell'incidente per intero al motociclista perché la collisione si è verificata quando la macchina aveva già completato la manovra di immissione sulla strada dotata di precedenza e ne aveva percorso alcuni metri; inoltre, la vettura si era portata il più possibile a destra per agevolare il sorpasso, e il motociclista correva parecchio. La Cassazione ha ribaltato la sentenza di appello: se il veicolo che si immette su strada dotata di diritto di precedenza completa la manovra di posizionamento e inizia la marcia nella nuova direzione, prima del sopraggiungere del veicolo favorito, questo non basta a scagionare chi doveva dare la precedenza. Chi arriva da dietro deve avere il tempo di fare ogni tipo di manovra nella massima sicurezza: invece, l'auto era stata di ostacolo, un pericolo che ha causato il sinistro.
CAUTELA - Ovviamente, anche i veicoli che hanno la precedenza devono procedere con prudenza, come ricorda la Cassazione: "È indubbio che grava anche su questi ultimi l'obbligo di adottare a loro volta tutte le precauzioni e le misure di emergenza per fare fronte nel modo più efficace all'altrui manovra anche colposa. Il conducente che si avvalga della precedenza di fatto agisce a suo rischio e pericolo. È cioè tenuto egli stesso a valutare se la situazione gli consenta di effettuare l'attraversamento dell'incrocio con assoluta sicurezza e senza creare alcun rischio per la circolazione. Se il sinistro si verifica, è lo stesso accadimento dei fatti che smentisce la correttezza della sua previsione, costituendolo in colpaۛ". Ora la corte d'Appello dovrà sentenziare nuovamente, tenuto conto dell'orientamento della Cassazione. In particolare, andrà fatta questa valutazione: la moto andava così veloce da impedire all'automobilista di vederla al momento in cui impegnava l'incrocio? Era cioè un pericolo improvviso e imprevedibile? Solo in questo caso (molto raro e davvero arduo da dimostrare) l'automobilista potrebbe forse essere ritenuto un po' meno responsabile del sinistro.
Per testo sentenza 12897 pubblicata il 24 luglio 2012 cliccare sul link che segue

mercoledì 25 luglio 2012

L’avvocato va sempre compensato per l’attività stragiudiziale non connessa alla mera assistenza processuale.

Il giudice non può negare la liquidazione senza verificare se le prestazioni offerte dal professionista siano o meno complementari.
Cassazione, sentenza 12928 del 24.7.12


Per testo sentenza cliccare sul link che segue
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Avvocati, allucinante taglio tribunali. Ricorso Consulta


La riforma della giustizia che prevede, tra l'altro, la chiusura di centinaia di uffici giudiziari ''è allucinante'' e contiene ''una serie di violazioni legislative che ne sanciscono l'incostituzionalità". Per questo l'Oua, l'Organismo unitario dell'avvocatura, si dice pronta a ricorrere alla Corte Costituzionale. Lo annuncia il presidente dello stesso organismo, Maurizio De Tilla, nella sua audizione davanti la commissione Giustizia della Camera.
La revisione della geografia delle circoscrizioni giudiziarie, che prevede la chiusura di ''circa 1.000 uffici giudiziari, è viziata da evidenti profili di incostituzionalità'', dice De Tilla. Innanzitutto, spiega, ''manca il presupposto dell'impatto giuridico della legge sia l'impatto sul concreto. Non è stato fatto alcuno studio preventivo, non c'è stato alcun concerto con le organizzazioni interessate''.
Nell'ambito poi della definizione dei nuovi uffici, aggiunge, ''sono stati commessi errori sulla cartina geografica''. De Tilla chiarisce di ''non voler dire no ad un riequilibrio territoriale degli uffici ma no a chiusure allucinanti''. Per il presidente dell'OUA ''ci sono almeno dieci motivi di incostituzionalità. Fra questi due i più rilevanti riguardano l'illegittimità di una legge delega in una legge di conversione e l'illegittimità di una legge di conversione che tratti materia estranea al decreto''.
L'avvocato rileva che ''se un magistrato facesse una sentenza così come è stato fatto questo provvedimento l'effetto cassatorio sarebbe immediato''. Insomma, sono ancora parole di De Tilla, ''non può andare avanti un provvedimento di questo tipo: o va ritirato, o va prorogato o annullato''.

Cassazione: ricorsi compilativi del Fisco inammissibili. I dettagli della sentenza

I ricorsi compilativi dell'Agenzia delle Entrate presentati in Cassazione sono inammissibili se privi dei fatti di causa.

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito ai ricorsi presentati dall’Amministrazione finanziaria, i quali devono essere obbligatoriamente corredati da una descrizione accurata dei fatti di causa, pena l’inammissibilitàSecondo l’ordinanza n. 12580 del 19 luglio 2012, sono inammissibili i ricorsi compilativi presentati dall’Agenzia delle Entrate, ovvero quelli che non descrivono dettagliatamente i fatti di causa, ma riproducono testualmente in tutto o in parte gli atti giudiziari o l’accertamento. Questo perché «la pedissequa riproduzione dell’intero letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata, per altro verso, è inidonea a tener il luogo della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non serve affatto che sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso» ha ricordato nella sentenza la sezione tributaria. La Cassazione ha inoltre richiamato l’art. 3, n, 2, del codice del processo amministrativo che obbliga le parti a redigere gli atti in maniera chiara e sintetica, compresi i ricorsi presentati dall’Amministrazione finanziaria. La Corte Suprema ricorda infine che per esprimere il proprio giudizio ha bisogno di avere tutti i dettagli necessari a verificare la corrispondenza tra quanto affermato dall’amministrazione finanziaria e gli atti, ma «non è tenuta a cercare tali atti o stabilire in quale parte siano rilevanti o a leggerli nella loro interezza per poter comprendere, valutare e decidere».
Per scaricare ordinanza n. 12580 del 19 luglio 2012 cliccare sul link che segue

Cassazione: reato rivelare l'omosessualità altrui

Si rischia condanna per diffamazione e violazione privacy


Chi diffonde l'omosessualità di un altro rischia una condanna per diffamazione e violazione della privacy. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 30369 del 24 luglio 2012, riportata dal sito Cassazione.net, ha accolto il ricorso di un uomo che aveva visto finire in prima pagina il tradimento con un collega.
Insomma, è stata bocciata la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la punibilità del giornalista. Ciò perché la motivazione del provvedimento impugnato si rileva incoerente con le norme sulla diffamazione in relazione all'esclusione dei presupposti della lesione del menzionato diritto, tutelato dal nostro ordinamento.

martedì 24 luglio 2012

Nuovo colpo (giurisprudenziale) ai poteri di Equitalia dopo la nota sentenza del Gdp di Genova. Secondo la Commissione provinciale Tributaria di Campobasso non è sanabile la notifica per posta delle cartelle esattoriali

Lecce, 23 luglio 2012 - Un altro duro colpo ai poteri apparentemente illimitati di Equitalia in termini di esazione. Dopo la nota sentenza n. 4486/12 del giudice di pace di Genova interviene anche la Commissione provinciale Tributaria di Campobasso con la sentenza n. 113 del 12 giugno scorso a sottolineare l’ambito dei poteri di notifica da parte dell’agente per la riscossione stabilendo che non è nulla ma inesistente e quindi non sanabile, la notifica della cartella esattoriale effettuata da Equitalia a mezzo posta e non mediante l’ufficiale giudiziario o messi comunali. Tale decisione che contribuisce a corroborare l’orientamento che limita i poteri dell’esattore in materia di notifica dei propri atti, non ha fatto altro che prendere atto che la normativa vigente non prevede che la società di riscossione sia un soggetto abilitato a notificare a mezzo posta. In particolare sottolinea espressamente e chiaramente il giudice tributario che «per i provvedimenti conseguenti a procedimento amministrativo tributario, escluso l’unico caso previsto dalla legge di notifica diretta col mezzo della posta da parte dell’Ufficio impositore, per gli atti di competenza dell’agente della riscossione la previsione di notifica a mezzo racc. A/R di cui all’art. 26 DPR 602/73 va intesa unicamente come modalità esecutiva della notificazione, sempre affidata all’organo preposto dalla legge alla notificazione (messo notificatore nominato dal concessionario ex art. 45 DLgs. 112/99, messo comunale o agente della pulizia municipale), in sintonia con il disposto dell’art. 60 DPR 600/73 che espressamente richiamo gli artt. 137 e sgg del c.p.c. che disciplinano la notificazione come atto proprio ed esclusivo dell’ufficiale giudiziario, anche quando si avvale del servizio postale». 

lunedì 23 luglio 2012

Spending Review, i tagli del Governo sulle province: 64 saranno eliminate e accorpate con altre. Ecco l'elenco e i dettagli

Il riordino delle Province stabilito dal Consiglio dei ministri "porterà a un numero, con qualche unità di approsimazione, intorno alle 40 Province e alle 10 città metropolitane". Lo ha spiegato il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri. I requisiti sulla base dei quali avverrà il riordino, ha spiegato il titolare di palazzo Vidoni, "sono stati individuati in almeno 350mila abitanti e almeno 2.500 km quadrati: nuove aggregazioni che sorgeranno non potranno andare al di sotto di questi requisiti" e questo "costituisce il secondo passaggio del percorso già delineato nel decreto spending review: si tratta dell'individuazione dei criteri dimensionali minimi sulla base dei quali tutte le province dovranno essere riordinate". 
"Ora - ha aggiunto - si apre il confronto con i consigli delle autonomie locali e delle regioni e il passaggio finale di questo percorso in un nuovo atto legislativo che metterà a regime il complesso riordino del sistema di governo sul territorio".
Province, quali saranno soppresse. Saranno salve le province degli attuali capoluogo e entro il primo gennaio saranno istituite 10 città metropolitane: RomaTorinoMilanoVenezia,GenovaBolognaFirenzeBariNapoliReggio Calabria. In questi casi saranno soppresse le province.  Sono 64 su 107 le Province da accorpare, di cui 50 in regioni a statuto ordinario e 14 a statuto speciale. Del totale se ne salvano 43 di cui oltre a quelle metropolitane, 26 in regioni a statuto ordinario e 7 a statuto speciale Le nuove Province - che si occuperanno solo di ambiente, trasporto e viabilità - dovranno avere almeno 350mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Chi non riuscirà a raggiungere questa soglia potrà fare una sorta di 'campagna aquisti' cambiando radicalmente la cartina geografica italiana, con accorpamenti che potranno dare vita a nuovi enti territoriali o ricalcare antiche conformazioni dello stato preunitario. Gli accorpamenti, elaborati dai Consigli delle autonomie locali, dovranno essere approvati dalle Regioni entro il primo gennaio 2014. Parma, Piacenza, Modena e Reggio Emilia, per esempio, potrebbero far parte di una sorta di Provincia del buon gusto, capace di riunire tutte le migliori Indicazioni geografiche protette (Igp) del Paese, dal parmigiano al prosciutto, all'aceto. Mentre in Toscana potremmo avere una Provincia dei Gran vini con Siena, Arezzo e Grosseto, accanto a quella Marinara di Massa, Lucca, Livorno e Pisa, cercando però di far assopire i tradizionali rancori stracittadini. Più facile sarà riunire Viterbo e Rieti in una Provincia della Tuscia Sabina e Latina insieme a Frosinone in quella ciociara. Teramo, Pescara e Chieti potrebbero rientrare nella 'Provincia Adriatica', escludendo L'Aquila, mentre Savona e Imperia si potrebbero costituire in Provincia di Ponente.

Cassazione: illegittimo il licenziamento del dipendente che discute animatamente con il superiore.

Sì a reintegra e differenze retributive per il periodo di sospensione cautelare: la lite nasce da questioni che esulano dagli obblighi di servizio. 
Cassazione, sentenza 12697 del 20.7.12 


per testo sentenza cliccare sul link che segue
http://notizielegali.altervista.org/leggiesentenzecivili.html

domenica 22 luglio 2012

Corte Costituzionale conferma referendum acqua del 2011: no alla privatizzazione

CON LA NORMA sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali, contenuta nella manovra-bis dell’estate scorsa, il governo dell’epoca scivolando proprio sull’acqua ha combinato il classico pasticcio. Lo dice la Corte Costituzionale con la sentenza pubblicata venerdì che ‘boccia’ l’articolo 4 del decreto legge 13 agosto 2011 n°138 perché «viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’articolo 75 della Costituzione». In pratica, perché tentava di aggirare il verdetto del referendum che il 12-13 giugno di un anno fa sancì la natura di bene comune non alienabile del cosiddetto «oro blu».
Per i movimenti dell’acqua pubblica questa sentenza rappresenta «una grande vittoria e un monito al governo Monti e a tutti i poteri forti che speculano sui beni comuni: l’acqua e i servizi pubblici devono essere pubblici».
Il ricorso alla Corte contro l’articolo ora dichiarato incostituzionale, era stato presentato da 6 Regioni: Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Sardegna. 
IMPIETOSA la motivazione della Consulta verso la scrittura stessa della norma finita nel mirino. «Nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato — si legge nella sentenza, scritta dal giudice Giuseppe Tesauro — risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza», della norma impugnata rispetto a quella abrogata dal voto popolare, nonché «l’identità della ‘ratio’ ispiratrice». «Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo espresso con il referendum riguardava pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica — scrivono ancora i supremi giudici delle leggi — non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato, dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica, sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare».
RIVENDICA il suo posto di diritto sul carro dei vincitori il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro: «Abbiamo fatto parte del comitato referendario insieme ai movimenti e alle associazioni e vigileremo, fuori e dentro il Parlamento, affinché il responso dei cittadini e la sentenza della Corte Costituzionale vengano rispettati».
Particolarmente forte l’impatto della sentenza a Roma, lungo il cammino già accidentato del sindaco Gianni Alemanno verso le elezioni comunali del prossimo anno. La bocciatura dell’articolo della Finanziaria-bis 2011 «che disponeva la possibilità di privatizzazione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, pone la parola fine sulla vicenda Acea: è bene che Alemanno e la sua Giunta ne prendano atto», commenta Francesco Pasquali (Fli), vicepresidente della commissione Ambiente alla Regione Lazio.

Casta politica: promosso un referendum che punta all’eliminazione del rimborso previsto per le spese di soggiorno nella capitale nei giorni di seduta in aula

Unione Popolare promuove già da alcuni mesi un referendum abrogativo che mira all’abolizione di uno dei tanti privilegi della casta dei politici italiani: la diaria dei parlamentari. 
Si tratta del rimborso (corrispondente a circa 3500 euro) che spetta a ogni deputato o senatore della Repubblica, per i soggiorni nella capitale durante i giorni delle sedute del Parlamento. La raccolta delle 500.000 firme per presentare la proposta di referendum alla Corte di Cassazione è partita a maggio scorso e continua a raccogliere consensi e a farsi strada, soprattutto on-line grazie al passaparola attivato dai social network., in vista del termine ultimo del 30 luglio per depositare le firme presso la Corte Costituzionale.  Anche se la linea politica del movimento ha suscitato subito interesse e curiosità, soprattutto per concetti come quelli di nuova politica, custodi dell'agricoltura, partiti tradizionali al capolinea e cacciare i politici dalla Rai, l’iniziativa che ha riacceso il dibattito sui costi della politica – in un paese, l’Italia, dove sono tra i più alti in Europa – ha subito trovato anche numerose difficoltà. I cittadini che si sono già recati nelle sedi dei vari Comuni per firmare i moduli e partecipare alla raccolta delle 500mila sottoscrizioni necessarie per presentare il quesito in Cassazione, non hanno trovato i suddetti moduli. Molti impiegati comunali sono cascati letteralmente dalle nuvole, affermando che non sapevano nulla mentre dall’Unione Popolare commentano: "I moduli sono stati spediti" e anche sul sito ufficiale tutto sembra procedere normalmente. È stata evidenziata anche una difficoltà di natura burocratica, poiché, Ai sensi della legge 352/1970, una proposta di referendum non può essere depositata 12 mesi prima delle elezioni, né nei 6 mesi successivi alle elezioni politiche. Ciò vuol dire che questo quesito referendario non può essere analizzato dalla Cassazione almeno fino a fine 2013. Ci si chiede anche che fine faranno i rimborsi elettorali per il referendum che l’Unione Popolare ha diritto a percepire. Secondo alcuni, la cifra andrebbe dai 250 mila euro in su. Cosa ne faranno? Li rifiuteranno o li accetteranno? Davanti a queste 'insinuazioni', il movimento risponde: “Prima di parlare dovrebbero leggere la normativa. È tutto valido, andiamo avanti”. Mentre le denunce sull’assenza dei moduli continuano, la coordinatrice del movimento, Maria Di Prato, comincia a rendere note le prossime mosse: “Abbiamo cominciato a raccogliere le firme a maggio e continueremo, per poi presentare i quesiti alla Corte di Cassazione”. 


fonte www.unonotizie.it

sabato 21 luglio 2012

Cassazione: illegittimo il licenziamento del dipendente che discute animatamente con il superiore.

Sì a reintegra e differenze retributive per il periodo di sospensione cautelare: la lite nasce da questioni che esulano dagli obblighi di servizio. 
Cassazione, sentenza 12697 del 20.7.12 


per testo sentenza cliccare sul link che segue
http://notizielegali.altervista.org/leggiesentenzecivili.html

Cassazione: non si può condannare chi è positivo all’alcoltest senza verificare se ha preso medicine che alterano i risultati.

Ha diritto a una risposta l’imputato secondo cui sull’esito della rilevazione ha inciso l’alterazione del metabolismo dovuta ai farmaci.
Cassazione, sentenza 28388 del 20.7.12

per testo sentenza cliccare sul link che segue
http://notizielegali.altervista.org/leggiesentenzepenali.html

venerdì 20 luglio 2012

Cassazione: "il posto auto in condominio è intoccabile"

I posteggi auto sono insufficienti? In condominio si fa a turno. L'assemblea condominiale puo' imporre turni nell'utilizzo dei posti auto disponibili e vietare, proprio per la logica dell'avvicendamento, di poter occupare, al di fuori del proprio turno, spazi lasciati temporaneamente vuoti da altri. 
Così, secondo la Suprema corte della Cassazione. "In caso di turni è vietato occupare spazi anche non utilizzati". Un posto intoccabile, che - però - deve valere per tutti. Un po' per uno non fa male a nessuno: vecchio detto che non invecchia mai, soprattutto in ambito popolare. L'area parcheggio, insomma, costituisce espressione del potere di regolamentazione dell'uso della cosa comune. 

Ricorso rigettato:dura da digerire, forse perchè troppo fredda e netta. Come tutte le sentenze e tutte le regole scritte. La seconda sezione civile della Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un uomo contro la sentenza della Corte d'appello di Roma che aveva confermato la legittimità di una delibera del suo condominio: in essa, dato il numero insufficiente di posti auto rispetto ai residenti (11 posti e 12 condomini) si stabiliva la regola del turn-over, che non poteva essere infranta neanche se il condomino avente diritto in quel momento non usufruiva dello spazio per la macchina.

La sentenza: la Suprema Corte, con la sentenza n. 12485, ha rilevato che la delibera in questione "costituisce corretta espressione del potere di regolamentazione dell'uso della cosa comune da parte dell'assemblea condominiale". L'assemblea, come ricostruisce la stessa sentenza, aveva appunto disposto che essendo i posti auto insufficienti i condomini facessero a turno.
Riunioni di condominio: beghe condominiali, ancora una volta. Come se non bastassero le riunioni-fiume sul problema dell'ascensore che non va (urge sostituzione...), piuttosto che l'acqua data alle piante in orari poco intelligenti. Quando il punto "varie ed eventuali" rischia di tramutarsi in una buona scusa per discutere animatamente su piccoli grandissimi problemi. Fortuna che c'è la Cassazione.

Cassazione: non è reato coltivare solo due piantine di marijuana in casa.


Cassazione, sentenza 28971 del 18.7.12 -  Nelle dimensioni minute manca la prova del potere stupefacente e dell’offensività della condotta.
per scaricare testo sentenza cliccare sul link che segue

giovedì 19 luglio 2012

La Cassazione punisce i gestori delle strade

La sentenza di seguito, della Cassazione Penale, è un’altra goccia che punisce  i comportamenti “distratti o omissivi” dei proprietari e gestori di strade  e si spera serva per prevenire e scongiurare altre tragedie di innocenti e incolpevoli, su cui si sono finora – e si continua – scaricate responsabilità che gettano nello sconforto e nella disperazione eterna le famiglie degli stessi.

Nello specifico, la vittima viaggiava a 117 km/h, per cui era stata attribuita alla stessa un concorso di colpa nella misura del 40%. La Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per omicidio colposo nei confronti del Dirigente della Provincia di Latina, per la insufficiente o omessa manutenzione della strada (mancata pulizia del fosso laterale di scolo, che aveva provocato il velo idrico superficiale, concausa dello svio della autovettura e il frontale).
al link che segue testo della sentenza

Cassazione: la velocità anche eccessiva va commisurata alla possibilità di avvistare l'ostacolo


Con la sentenza n.3719 del 9 marzo 2012, la Terza Sezione della Cassazione Civile ha deliberato che nella determinazione del concorso di colpa di un sinistro, la ‘velocità eccessiva’ non può essere considerata come semplice aggravante ma va valutata alla luce della situazione contingente nella qualie si è verificato l’incidente stesso, con riferimento in particolare alla possibilità di avvistare - e quindi evitare - un possibile ostacolo. In altre parole, se un veicolo procede ad una velocità superiore al limite consentito e rimane coinvolto in un incidente, la sua ‘velocità eccessiva’ non può essere considerata come semplice aggravante in sè ma va esaminata nel contesto nel quale si è verificato l’episodio. La sentenza in questione è stata emessa in seguito ad un contenzioso tra compagnie assicurative riguardo ad un incidente che ha visto coinvolti un motociclista ed un automobilista: il primo viaggiava ad una velocita di 205 km/h sotto una leggera pioggia, andando poi ad impattare con il secondo che svoltava a sinistra in uscita da uno stop. La moto aveva colpito la vettura all’altezza della ruota posteriore destra dopo una frenata di 33,75 metri, provocandone il testa coda, aveva proseguito per altri 66 metri dopo l’impatto andando ad urtare un’altra autovettura, ed aveva terminato la sua corsa altri 42 metri dopo la seconda collisione. In primo grado al motociclista era stata attribuito il 30% della colpa e all’automobilista il 70%, percentuali poi invertite in appello. La Cassazione ha quindi confermato il secondo verdetto adducendo come fulcro della decisione il fatto che il motociclo viaggiava a velocità spropositatamente elevata (205 km/h) su un fondo viscido e che, secondo gli accertamenti tecnici svolti in sede penale, sarebbe bastata un’andatura di ’soli’ 165 km/h al momento in cui il motociclista aveva potuto scorgere la vettura (ossia 190 metri prima di impattarvi contro) per evitare l’urto. L’eccesiva velocità avrebbe inoltre impedito all’automobilista di valutare correttamente l’avvicinamento della moto in quanto sarebbe stato particolarmente difficile prevedere che, in una giornata piovigginosa, una moto approcciasse l’incrocio ad una simile velocità che sarebbe invece dovuta essere particolarmente moderata viste le condizioni. In pratica, sebbene la moto viaggiasse ad una velocita ‘ben oltre il limite consentito’, il fatto che questa velocità sia stata talmente più alta da non permettere al conducente di poter intervenire ‘per tempo’ in caso di ostacolo improvviso avrebbe fatto pendere il giudizio della Cassazione verso le tesi dei difensori dell’automobilista, confermando quindi il verdetto della Corte di Appello ed addossando la maggior parte della responsabilità del sinistro al motociclista.

Cassazione: la spiaggia frequentata da nudisti non salva dalla multa

Gli 'ermellini': ammessa la nudità solo nei campi di naturisti, non in luoghi pubblici o esposti al pubblico. Confermata la sanzione di 1.200 euro a un 40enne colpevole di avere preso il sole senza costume su un lido di Taormina popolata da diversi bagnanti.
La spiaggia frequentata da nudisti non salva dalla multa. Lo ricorda la Cassazione per la quale "si deve escludere che la nudità integrale, a causa dell'evolversi del comune sentimento, non sia più idonea a provocare turbamento nella comunità attuale". Ammessi i bagnanti senza costume solo "nella particolare situazione di campi di nudisti, riservata a soggetti consenzienti, ma non in luoghi pubblici o esposti al pubblico", ragguaglia ancora la Suprema Corte. Ecco perché la Terza sezione penale - sentenza 28990 - ha convalidato una multa di 1.200 euro nei confronti di Massimo P., un 40enne colpevole di avere preso il sole nudo su una spiaggia frequentata da numerosi bagnanti a Taormina.
Nella spiaggia, ricostruisce la sentenza della Cassazione, erano presenti altri nudisti che si erano dileguati all'arrivo dei carabinieri. L'unico a non arretrare davanti agli uomini dell'Arma era stato appunto Massimo P.. Inutile la difesa dell'uomo volta a cancellare la multa sulla base del fatto che il tratto di spiaggia, anche se non recintato, era "notoriamente frequentato da numerosi anni dai nudisti".
Piazza Cavour ha dichiarato inammissibile il ricorso di Massimo P. e ha fatto notare che legittimamente era stata inflitta la multa sulla base del fatto che "la spiaggia era frequentata, in maggioranza da bagnanti, adulti e minori, indossanti il costume, mentre i nudisti erano in numero estremamente ridotto e sparso, sicché tali caratteristiche, unitamente al carattere pubblico dello spazio e alla sua non delimitazione, dovevano rendere evidente all'imputato la consapevolezza del proprio anomalo comportamento".