martedì 11 settembre 2012

Cassazione: condannata docente che fa scrivere cento volte “sono un deficiente” a un suo alunno per i suoi atteggiamenti da "bullo"

Gli insegnanti non possono rispondere con “metodi prepotenti” al bullismo degli allievi perchè, così facendo, “finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali sono decisi dai rapporti di forza o di potere”. Con la sentenza numero 34492, la Corte di Cassazione ha confermando la condanna a 15 giorni di reclusione nei confronti di una professoressa di una scuola media di Palermo che, per punire uno studente di 11 anni, gli aveva fatto scrivere per cento volte sul quaderno la frase “sono un deficiente”.

In particolare l’insegnante non può rispondere con “l’uso della violenza, fisica o psichica” agli atteggiamenti di bullismo degli alunni. Lo ha stabilito la Cassazione, che ha condannato a 15 giorni di reclusione una professoressa di una scuola media di Palermo “per avere abusato dei mezzi di correzione e di disciplina” ai danni di un alunno di 11 anni, “costringendolo a scrivere per 100 volte sul quaderno la frase 'sono un deficiente' e per avere adoperato nei suoi confronti un comportamento palesemente vessatorio, rivolgendogli espressioni che ne mortificavano la dignità”.
In primo grado la professoressa era stata assolta, successivamente la Corte d’appello di Palermo aveva invece dichiarato l’imputata “colpevole del reato di abuso dei mezzi di disciplina”.
Secondo la Cassazione “Non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi, e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti”. E sia perchè – prosegue la sentenza – “non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono”.
La Cassazione ha concesso alla prof uno sconto di pena - rispetto alla condanna in appello di 30 giorni di reclusione - eliminando l'aggravante di aver provocato nell’adolescente un “disturbo del comportamento”, ipotesi avanzata dallo psicologo, ma non provata con certezza.
Va forse ricordato che all’origine della vicenda sta il fatto che l’insegnante di Palermo aveva deciso quella punizione perché l’alunno ‘bullo’ aveva impedito a un suo compagno di entrare nel bagno della scuola dandogli del gay.

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